PERIFERIE DEI DIRITTI E COVID-19. di Stefano Cecconi, Giovanna Del Giudice

L’emergenza Covid-19 è prima di tutto questione sanitaria, ma per fronteggiarla l’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda una “azione globale” che tenga conto di tutti gli aspetti che influiscono sulla salute e sulla vita della persone, non limitandosi ad interventi per contenere l’infezione e tanto meno solo all’ospedalizzazione.

L’OMS dedica una particolare attenzione alle persone più vulnerabili e indica tra i servizi essenziali da garantire quelli riferiti alle persone con problemi di salute mentale e più in generale alle persone non autosufficienti e con patologie croniche, e per la salute materno-infantile. In Italia questa attenzione ancora non c’è stata.

Le pur importanti misure disposte dal Governo per il potenziamento delle risorse del SSN, a partire dal personale, scontano ancora un approccio “ospedalocentrico”, mentre da più parti si evidenzia come l’epidemia si previene ed affronta con misure per rafforzare i servizi del welfare territoriale, peraltro da tempo impoveriti.

In questa direzione si muove l’Appello lanciato dalla Conferenza nazionale Salute Mentale che afferma l’urgenza di garantire il funzionamento della rete territoriale di prossimità dei servizi, riportando l’attenzione sulle persone più fragili: con sofferenza mentale, con problemi di dipendenza, con disabilità, anziane e con malattie croniche.

Un Appello che chiede di accendere i fari sulle “periferie dei diritti”: il carcere, i CPR, le RSA (Residenze per anziani e disabili), le REMS (le Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza sorte dopo la chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari).

Governo e a Regioni devono dare disposizioni chiare e uniformi su tutto il territorio nazionale, e investire parte delle risorse dedicate all’emergenza, affinché i servizi territoriali assicurino tutte le attività, rispettando le misure di prevenzione per operatori e cittadini-utenti e fornendo tutti i dispositivi di protezione necessari.

Assicurare e rafforzare i servizi di salute mentale di comunità è tanto più necessario di fronte a segnali preoccupanti che arrivano da certi settori della psichiatria, dove si evidenziano, in nome della lotta all’epidemia, pratiche che riportano a culture e pratiche dell’era manicomiale.

Stiamo vedendo organizzare servizi “speciali”: i Servizi psichiatrici di diagnosi e cura riservati alle persone con disturbo mentale Covid positive, che riportano alla memoria i reparti di TBC e “infettivi” dei vecchi manicomi. Le persone con disturbo mentale sono cittadini titolari di diritto e se bisognose di cure ospedaliere perché Covid positive devono essere ricoverate nei reparti come tutti. Non ci è bastato l’orrore del manicomio per riproporre risposte di segregazione?

E ancora, viene sdoganata da parte di società scientifiche la contenzione (parliamo della pratica del legare le persone in cura) quando una persona con problemi di salute mentale in fase di scompenso sia positivo al Covid-19. Ma, in nome di un’epidemia si può legittimare una pratica di violazione della Carta Costituzionale (art. 13), definita dalla Suprema Corte (sentenza n. 50497 del 2018) non sanitaria, non terapeutica, che può provocare lesioni anche gravi all’organismo?

Le stesse società riportano al centro la cura farmacologica, e tanto più l’utilizzo dei farmaci depot (farmaci anti psicotici a rilascio prolungato, fino a tre mesi) ritenuti equivalenti ad urgenze. Ecco che così l’emergenza diventa un alibi per riproporre l’egemonia del paradigma biologico clinico e il potere di controllo della psichiatria.

Questa cultura dell’emergenza che ridimensiona i diritti va respinta. Per agire invece in modo globale, su tutti i determinanti di salute e di malattia, privilegiando i servizi del welfare territoriale: questo è il modo più appropriato per un contrasto efficace dei danni da Covid-19.

Stefano Cecconi portavoce Osservatorio StopOpg
Giovanna Del Giudice portavoce Campagna E TU SLEGALO SUBITO

 

 

 

fonte:

 

Print Friendly, PDF & Email