Transizione al dopo coronavirus: spunti per la salute mentale. di Pietro Pellegrini

Dal 24 febbraio 2020 a seguito della pandemia è stata modificata in modo significativo l’attività dei servizi di salute mentale e a distanza di 45 giorni, ancora nel pieno dell’infezione, non si possono tracciare le linee future. A tutt’oggi prevale la linea emergenziale che in questa ultima settimana è diventata più attenta al territorio. Infatti, mentre nella prima fase la necessità di far fronte all’ondata di ricoveri ha richiesto uno sforzo straordinario che si è concentrato sulla necessità di creare posti letto dedicati e aumentare quelli in terapia intensiva, i servizi territoriali pur chiamati in causa visto che la maggior parte degli infettati era ed è a casa, sono stati lasciati a se stessi, senza dispositivi di protezione individuale (DPI), tamponi e terapie.

Il distanziamento fisico e il “restare a casa” hanno richiesto una variazione degli interventi sanitari specie ambulatoriali e semiresidenziali che sono stati sospesi o laddove sono stati rimodulati sono in larga misura passati dalle sedi dei servizi alla casa della persona, potenzialmente vera “casa della salute”.

Questo per la salute mentale è un punto centrale che la pandemia ha rilanciato per ragioni diverse, quasi opposte (tutelare sé dall’altro) a quelle originarie (persona come risorsa della comunità, diritto ad essere curato). Tuttavia affinché l’operazione possa avere successo, il punto cruciale è unire la responsabilità della singola persona con quella della comunità che si prende cura, passando per famiglia e microcomunità di prossimità, microzone in grado di affrontare anche le marginalità come senza tetto, migranti, devianze.

Un ponte, un legame dinamico tra un sistema patient centered e quello community centered. In questo consiste la sfida per il futuro dei servizi sanitari territoriali, Cure primarie, Sanità Pubblica e Salute Mentale, strettamente connesso a quello del Servizio Sociale professionale e più in generale al sistema di comunità il quale deve tenere conto dello stato delle famiglie, delle fragilità, vulnerabilità, dei sistemi di mediazione e di prossimità. Un sistema del quale deve fare parte l’ospedale, con sue funzioni specifiche, ma anche ogni altro ambito “sensibile”, siano essi le carceri, i servizi per migranti e senza tetto (le “periferie dei diritti”: Nota 1). Una transizione  che passi dal sistema istituzionale (ospedalecentrico o territoriocentrico) ad uno diverso di tipo post- istituzionale fondato su persone e comunità connesse da un insieme complesso di relazioni.

E’ questa trama che va conosciuta (anche per quanto attiene la pandemia, si pensi al contagio intrafamiliare, alle persone sole), sostenuta, affinché la casa della persona sia una casa non isolata ma connessa (vicinato, internet), non abbandonata ma sostenuta con strumenti nuovi (Budget di salute), con i servizi essenziali (minimo vitale, utenze assicurate). L’invito a restare a casa, a limitare i rischi, dato per ridurre il diffondersi dell’infezione, può essere l’occasione per un nuovo welfare di prossimità e di una nuova socialità. In questo le Unità Speciali di Continuità Assistenziale (USCA) possono essere il tramite dall’emergenza di oggi al futuro, per un sistema di cura nelle 24 ore che si avvalga anche dell’innovazione che può dare un forte contributo non solo negli ambiti del lavoro e istruzione (a distanza ecc.) ma anche nella cura (Home care, le nuove tecnologie, app.). Un sistema ripensato e rinforzato in termini di personale infermieristico, sociale, educativo e psicologico, per fare fronte alla complessità del territorio con interventi nelle 24 ore. Al  contempo occorre anche prepararsi a farsi carico da un lato di chi per diverse ragioni non ce la fa anche a restare a casa (persone con autismo, alti bisogni assistenziali) e dall’altro all’ipotizzato aumento degli utenti come dimostrano molti studi sulle fasi post pandemia. Questo richiede un adattamento dei servizi di salute mentale che oltre a farsi carico dei casi complessi e gravi dovrebbero aprirsi ad una nuova utenza. Un fenomeno non del tutto nuovo visto che ancora non si è esaurito l’effetto della crisi socio-economica del 2008 e che la post pandemia potrebbe riaccendere o allargare. “La sanità va completamente ripensata, evitando il modello ‘istituzione totale’, sempre più irrazionale, e cercando di fornire al territorio un ventaglio di luoghi dove i malati possano essere curati senza dovere arrivare ad alte densità. È un modello percorribilissimo soprattutto oggi. Con l’informatica, la connessione tra vari poli terapeutici e con l’idea che quando è possibile occorre tenere il paziente solo il tempo necessario alle cure più importanti. Senza cadere nel paradosso che per isolare i pazienti bisogna concentrarli.” Nota 2

Se diviene necessario occuparsi della marginalità con quale cultura farlo, se securitaria o di welfare di  comunità resta da definire. E tuttavia, vi è l’evidenza che il coronavirus ha dimostrato che anche sotto il profilo infettivo le grandi istituzioni, specie se chiuse, non sono affatto sicure: residenza per anziani e carceri. Un elemento forte che, unito ad altre importanti evidenze (Chronic care model) può spingere verso riforme profonde del sistema basate su diversi equilibri e funzioni dell’ospedale parte della comunità.

Serve quindi uno sforzo globale, in grado di ripensare non solo la sanità, la sua organizzazione, le sue funzioni e i suoi luoghi ma anche la società e il territorio. Come vivere, produrre, relazionarsi perché il coronavirus ha messo in discussione la globalizzazione e la società di massa ma anche spazi e tempi. Ha reso evidente la distanza fra un corpo fisico, ancora storico e fragile, lento e limitato ed uno psichico che può comunicare, in tempo reale, con quasi ogni punto del mondo. Un a dinamica che riaccende l’interesse sul luogo del lavoro e della vita, resi per molto tempo inapparenti rispetto al prodotto.

Se superata l’emergenza, l’interesse per l’altro perderà ragione d’essere, si (ri)aprirà la strada alla domanda individuale e quindi ad una frammentazione sociale, l’area dell’emarginazione/abbandono si estenderà di nuovo. Con questa, nell’ottica che ha accomunato problemi, chi li vive e chi si occupa di loro, il rischio di una marginalizzazione dei servizi è molto elevata. I servizi per la salute mentale potrebbero essere sacrificati ulteriormente in particolare quelli territoriali e magari farsi strada nuove pratiche di separazione, neoisitituzionali.

In attesa di vedere gli sviluppi occorre constatare come nella fase di emergenza i pazienti psichiatrici in gran parte hanno capito, collaborato, non hanno determinato problemi. Questo per un senso di responsabilità ma credo anche grazie ad una rete significativa di servizi che tutto sommato cerca, come può, di stare accanto alle persone. Gli effetti della pandemia sui servizi di salute mentale è oggetto di diversi interventi di società scientifiche, associazioni e numerose prese di posizione. Si evidenziano i timori delle conseguenze sulla salute dell’isolamento, della limitazione delle uscite per i più gravi (timore di alterazioni comportamentali) anche in relazione alla contrazione dei servizi. Timori di un aumento dello stigma, del doppio stigma (disturbo psichiatrico più infezione) e del sommarsi di problemi diversi (migranti, senza tetto, emarginazione, povertà, detenzione). Per quanto siano tutti elementi rilevanti al momento non abbiamo rilevato un maggiore impatto sui servizi e salvo qualche caso non vi sono state segnalazioni delle famiglie o del contesto relative a violazioni e condotte non consentite. Gli utenti sono stati bravi cittadini e in molti casi hanno accolto le nuove modalità di relazione a distanza mediante strumenti il cui utilizzo è stato fortemente accelerato dalla pandemia.

Punti di riflessione e ipotesi

Mentre restiamo in attesa della c.d. fase due, dal 3 maggio, nell’immaginare la transizione pare sia necessario prevedere un utilizzo universale dei DPI e quindi l’ampia diffusione degli stessi in tutti i contesti di cura, da adottare e impiegare previa adeguata formazione, da parte di tutti, operatori, utenti e familiari, in ogni contesto. Nel ribadire che il luogo per ora più sicuro e di riferimento resta la casa della persona al tempo stesso occorre esplicitare le forme di sostegno e di connessione e al contempo vedere come rilanciare i progetti per chi una casa non ce l’ha, come l’Housing First. Occorre affrontare con forza i determinanti sociali della salute.

Venendo all’ambito ospedaliero e residenziale si è evidenziata l’importanza di avere ampi spazi e stanze singole. Si rende necessario riformulare più chiaramente l’offerta di cura ospedaliera e residenziale, al fine di rispondere in modo adeguato ai bisogni, affrontare l’E-U ed analizzare meglio le situazioni nelle quali la complessità psicopatologica, medica, familiare, socio-economica, giuridica che la pandemia ha fortemente accentuato. Oltre all’anamnesi e controlli clinici e temperatura, occorre potenziare la diagnostica (tamponi e sierologia rapida e di laboratorio) e renderla di routine al fine di creare percorsi sicuri e dedicati per pazienti covid e non covid.  Si tratta di giungere alla stratificazione del rischio senza commistioni pericolose, senza soluzioni segreganti, ma rilanciando proprio in questa fase dove di necessità sono compressi, i diritti alla libertà, all’autodeterminazione,  a non essere contenuti. Nei momenti difficili le sfide devono essere alte!

In questa fase di transizione occorre passare da una visione alternativa ad una forma integrata dell’attività a distanza con quella “de visu”.  Quindi rendere stabile il lavoro di triage telefonico per la valutazione del rischio infettivo e dei problemi di salute mentale. In questo quadro quindi si ritiene di mantenere centrale la consultazione telefonica con il Medico di Medicina Generale ed eventuale contatto tel. da parte del personale del CSM con l’utente/familiari.

CSM virtuale e reale

  1. a) Accessi: occorre riprendere le attività per rispondere ai bisogni di persone che non sono in carico mantenendo la centralità della consultazione con il Medico di Medicina Generale (con cellulari e orari dedicati). In caso di consulenza la prenotazione potrebbe essere data on line. Lo smart working sta dimostrando la possibilità di effettuare colloqui tel. o via skype e può facilitare l’utenza più giovane o distante dai servizi. Mantenere l’approccio secondo la stepped care.

Fissare le su appuntamento in sedi in grado di assicurare il distanziamento fisico e la sicurezza e far sempre precedere alla visita il triage.

  1. b) Pazienti in cura

Interventi a distanza esplicitando programmazione/ a domanda, intensità (più volte al dì, quotidiana, due v. sett., settimanale, quindicinale, mensile) modalità (tel., video, mail) e finalità. Visite su appuntamento e mantenimento delle distanze in sala di attesa che vanno tenute il più possibile libere. Occorre ripensare i PDTA per favorite i trattamenti on line (esordi e DCA) punto di accesso tel. e sito.

Promuovere il “Ricovero domiciliare” con interventi in sicurezza sia dal punto di vista infettivologico che psichiatrico in modo da mantenere ed estendere il sostegno domiciliare.

Ambulatorio infermieristico on line (per s. metabolica, stili di vita, educazione sanitaria anche ai fini della prevenzione del Coronavirus).

Ampliamento delle attività di automutuoaiuto, sulla base dell’esperienza della montagnaterapia.

In attesa di una ripresa delle attività psicosociali e di inclusione lavorativa si possono strutturare attività psicosociali a distanza; anche i Budget di Salute vanno rivisiti integrando modalità a distanza con interventi in situazione reale, attuati in piena sicurezza.

  1. c) Nell’ottica del CSM 24 ore,si potrebbe pensare ad un riconversione delle residenze in modo tale da assicurare le stanze singole, con un’articolazione dell’attività secondo due programmi:

1) per PDTA esordi

2) per i casi complessi.

Nelle Residenze e REMS occorre procedere ad aumentare fino al 50% le stanze singole e favorire il passaggio al modello residence (tutti alloggi) con portineria. Quindi, nel medio termine, le Residenze vanno riprogettate come servizi/risorse di comunità rivedendone anche la dotazione al fine di farle funzionare come con hub di progetti personalizzati con Budget di Salute in alloggi esterni in alloggi.

Un metodo che potrebbe essere utile per affrontare anche con i servizi sociali la questione della marginalità.

L’attuale fase ha evidenziato come occorra potenziare il Programma Autismo e Disabilità in particolare nella fascia adolescenti e adulti.

  1. d) Creare in ogni distretto un team di consultazione e psicoterapia

Potrebbe essere la risposta all’atteso aumento della domanda. Infatti, secondo La Salvia[1] gli studi “hanno evidenziato in maniera unanime che entrambe le epidemie hanno avuto pesanti ripercussioni dal punto di vista della salute mentale, sia in termini di aumentata morbilità psichiatrica nelle persone sottoposte a misure di contenimento sanitario (es. isolamento o quarantena) (Brooks et al., 2020), che di aumentata incidenza di disturbi mentali (soprattutto, PTSD, disturbi d’ansia e depressivi) nelle persone contagiate che sono riuscite a sopravvivere alla malattia (Mak et al., 2009; Keita et al, 2017) e di aumentato distress psicologico, burn-out e patologia psichiatrica franca nei medici ed infermieri impegnati sul fronte dell’emergenza sanitaria (Chen et al, 2005; Lancee et al, 2008).”

Conclusioni

Il coronavirus attraversa ogni ambito e quindi porta a rivedere tutte le politiche e questo non avverrà al di fuori del conflitto sociale. La fase umanitaria, lascerà ben presto spazio alle componenti forti e strutturali del sistema. Temi per ora accantonati non sono affatto superati, dai valori costituzionali, al modello sociale e produttivo, al sistema di welfare. Tutto questo rimanda al potere e al tipo di patto sociale. Nulla è dato per scontato o acquisito. E’ una transizione aperta, anche per i servizi della salute mentale che porterà ad un dopo-coronavirus. Questo fatte salve le ulteriori disposizioni che verranno emanate, prevede a mio avviso un periodo nel quale si rende necessario un esteso utilizzo dei DPI per operatori e utenti, tutti i cittadini. Grande attenzione va posta alla valutazione del rischio infettivo mediante il triage e un uso della diagnostica specifica (tamponi /sierologia) per utenti e operatori che sia ampiamente diffusa e a disposizione dei clinici. L’utilizzo dello smart working consente innovazioni importanti ma va affiancato ad una revisione dei programmi e dei luoghi ospedalieri, semiresidenziali e residenziali. E visto che si parla di investimenti economici per la salute mentale, ambito chiave per la ripresa, occorrono investimenti in personale, competenze e innovazione delle sedi e tecnologica. Riconversione della residenzialità a servizi di comunità e Budget di salute. Occorre aumentare il sostegno al sistema di comunità e automutuoaiuto per affrontare i c.d determinanti sociali della salute.

NOTE:

[1] Cecconi s., Del Giudice G. “Periferie dei diritti e Covid 19. Rischi da virus”, Il manifesto, 15 aprile 2020

2 Coronavirus. Tutto un altro modello per i luoghi della medicina Franco La Cecla, L’Avvenire, 12 aprile 2020 https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/tutto-un-altro-modello-per-i-luoghi-della-medicina

3 L’impatto dell’emergenza epidemica sulle persone con problemi di salute mentale. Il “doppio stigma” Antonio Lasalvia, Pol.it  4 aprile 2020 http://www.psychiatryonline.it/node/8567

Brooks SK, Webster RK, Smith LE et al. The psychological impact of quarantine and how to reduce it: rapidreview of the evidence.Lancet. 2020 Mar 14;395(10227):912-920

Chen CS, Wu HY, Yang P, Yen CF. Psychologicaldistress of nurses in Taiwan whoworkedduring the outbreak of SARS. PsychiatrServ. 2005 Jan;56(1):76-9.

Lancee WJ, Maunder RG, Goldbloom DS. Prevalence of psychiatricdisordersamong Toronto hospital workersone to twoyearsafter the SARS outbreakPsychiatrServ2008;59:91-5.

Mak IW, Chu CM, Pan PC, Yiu MG, Chan VL. GenHospPsychiatry. 2009;31:318-26.

Pietro Pellegrini è Direttore del Dipartimento Assistenziale Integrato Salute Mentale Dipendenze Patologiche Ausl di Parma

 

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