Le cause del suicidio. di Benedetto Saraceno

Non solo le patologie psichiatriche. I determinanti sociali più significativi sono la disoccupazione, la povertà relativa, la condizione di homeless e l’isolamento sociale con assenza di supporto sociale.

Nel 2019 si stima che 703.000 persone siano morte a causa del suicidio[1].   A livello globale il tasso di suicidio è stimato a 9,0 suicidi per 100.000 abitanti. Tuttavia, la variabilità dei tassi è notevole, da un minimo di 2×100.000 a più di 80×100.000. Il tasso standardizzato per età è superiore nei maschi rispetto alle femmine.   Un rapporto M:F superiore a 1 indica che il tasso è superiore nei maschi e infatti nei dati globali 2019 il rapporto è risultato superiore a 3 nei paesi ad alto reddito, a 2,9 in paesi a reddito medio basso e a 1,8 in paesi a reddito medio alto.

La maggior parte delle morti per suicidio (77%) si è verificata nei paesi a reddito basso o medio dove vive la maggior parte della popolazione mondiale. Più della metà dei suicidi (58%) ha riguardato persone di età inferiore ai 50 anni. Nella fascia di popolazione di età compresa fra i 15 e i 19 anni il suicidio risulta la quarta causa di morte per entrambi i sessi dopo gli incidenti stradali, la tubercolosi e la violenza interpersonale.

Tuttavia, è la terza causa di morte fra le femmine, preceduta da tubercolosi e condizioni legate al parto.

I tassi di suicidio (# per 100.000) variano geograficamente: 11,2 suicidi x100.000 nella regione Africa, 10,5 nella regione Europa, 10,2 nella regione del Sud Est Asiatico, 6,4 nella regione del Medio Oriente. Va notato che tuttavia che nella regione del Sud Est Asiatico il tasso di suicidio per le femmine risulta molto superiore (8,1 x 100.000) rispetto al tasso medio globale (5,4 x 100.000).

Nel 2019 i dieci paesi con i tassi più elevati di suicidio (# per 100.000) nel mondo sono stati:

  1. Lesotho –  72,4
  2. Guyana – 40,3
  3. Eswatini (Swaziland) – 29,4
  4. Corea del Sud – 28,6
  5. Kiribati – 28,3
  6. Stati Federati della Micronesia – 28,2
  7. Lituania – 26,1
  8. Suriname – 25,4
  9. Russia – 25,1
  10. Sud Africa – 23,5

Il paese europeo con il tasso più elevato è il Belgio: 18,3.

È ben documentato che la metà delle persone che muoiono per suicidio sono sofferenti di patologie mentali e per prime la Depressione Maggiore e il Disturbo Bipolare.  Con frequenza minore sono anche documentati disturbi di natura schizofrenica o di disturbi della Personalità[2,3].   Circa il 2,2-3,4% dei soggetti (generalmente maschi) che sono stati trattati per disturbi legati all’uso di alcol muoiono per suicidio così come gli utilizzatori di eroina commettono suicidio in misura quattro volte superiore a coloro che non sono utilizzatori[4,5].

Tutti questi dati ci confermano quanto la correlazione suicidio/disturbi mentali sia studiata [6].

Sembra, invece, che la correlazione fra suicidio e altri determinanti (determinanti sociali) non sia altrettanto studiata nei paesi ad alto reddito, anche se la metà dei suicidi è correlata a tali determinanti. È interessante notare il paradosso per cui vi sono paesi ove il suicidio è trattato alla stregua di un evento esclusivamente sociale senza alcuna relazione con lo stato di salute delle persone (è stato il caso della Cina ove il suicidio è stato a lungo ritenuto un segno di malfunzionamento sociale, di competenza del Ministero degli interni e non di quello della salute) e, all’opposto, vi sono paesi ove l’enfasi sugli aspetti psichiatrici del suicidio è predominante (come è il caso dei Paesi europei o degli Stati Uniti) rispetto alla forte componente non-psichiatrica di moltissimi suicidi.

La grande variabilità geografica, di età e di genere che si può evincere dai dati globali più recenti, di fatto non riflette una simile e complementare variabilità nella distribuzione dei disturbi mentali. E questo perché “altri” fattori indipendenti dalla presenza di un disturbo mentale agiscono come determinanti del suicidio.  In altre parole, anche se la relazione fra suicidio e disturbi mentali (soprattutto la depressione maggiore e i disturbi legati all’uso dell’alcol) è nota e accertata nei paesi ad alto reddito, moltissimi suicidi sono di natura impulsiva e non necessariamente determinati da un disturbo mentale ma piuttosto da momenti di crisi che compromettono la capacità di un individuo di far fronte a esperienze di grave stress.

Vi è infatti ampia letteratura[7] che documenta la stretta relazione fra suicidio e:

  • le gravi lacerazioni identitarie sperimentate dalle popolazioni indigene (suicidio fra le popolazioni lapponi e inuit o fra le popolazioni dell’interno dell’Amazzonia);
  • le esperienze di disperazione e anomia vissute dai migranti;
  • lo stress e i sentimenti di impotenza dovuti a gravi perdite economiche (suicidi dei contadini che non riescono a rimborsare i loro debiti in America Centrale, in India, in Sri Lanka;
  • la perdita del lavoro per persone che sanno di non potere trovarne un altro, spesso a causa della loro età;
  • le esperienze di stigmatizzazione, vergogna sociale e famigliare vissute da giovani donne (suicidi di adolescenti dovuti a gravidanze o aborti soprattutto nelle zone rurali);
  • le esperienze di umiliazione e bullying cui sono esposti gay e lesbiche, soprattutto in età giovanile;
  • i vissuti di isolamento e umiliazione all’interno delle carceri o delle istituzioni totali (suicidi nelle prigioni o nelle caserme);
  • le esperienze traumatiche sperimentate da popolazioni civili (soprattutto donne che hanno subito violenze) in contesti di conflitto armato;
  • il dolore somatico cronico che spesso spinge le persone a decidere di suicidarsi per la impossibilità di mitigare e controllare il dolore.

Questi determinanti sono molto spesso i veri fattori decisivi che spingono le persone a suicidi impulsivi e che non possono essere ricondotti ad alcuna patologia psichiatrica accertata.  Fra i determinanti sociali più significativi dominano quelli socio-economici[8,9] come la disoccupazione, la povertà relativa[10], la condizione di homeless e l’isolamento sociale con assenza di supporto sociale[11].

Nelle zone rurali il debito rappresenta un potente fattore di rischio di suicidio, come si evince dalla abbondante letteratura di studi epidemiologici effettuati in India[12] e in Cina[13]. A questo proposito, vale la pena di soffermarsi sulla questione del suicidio nelle zone rurali (abbiamo molti dati da: Cina, India, Sri Lanka, America Centrale, Cile), poiché il metodo impiegato per suicidarsi è talmente letale che anche tutti i tentativi di suicidio si traducono drammaticamente in suicidi probabilmente molto spesso non voluti.  Nelle zone rurali, infatti, i pesticidi sono molto diffusi e nelle abitazioni più povere non sono custoditi in spazi protetti e vigilati ma restano a disposizione di tutta la famiglia. Vi sono indicazioni che molti tentati suicidi dettati da gesti impulsivi (ingestione di poche gocce di pesticida) hanno esitato in decessi, soprattutto fra adolescenti e giovani ragazze incinte prima del matrimonio o addirittura in età adolescenziale. L’introduzione di semplici mezzi di controllo dei pesticidi riposti in contenitori sicuri, chiusi e accessibili solo a pochi senior dei villaggi, ha determinato una diminuzione dei tassi di suicidio in quelle zone rurali[14].

Si potrebbe continuare questa disamina della letteratura che mostra la forte relazione fra suicidio e condizioni di vulnerabilità e svantaggio sociale ed economico.

Certamente l’analisi della situazione globale non mostra con sufficiente chiarezza se i paesi a reddito alto siano quelli che hanno una maggiore correlazione fra suicidio e disturbi mentali e, invece, se quelli a reddito basso mostrino una correlazione prevalente con condizioni di vulnerabilità socioeconomica. Dunque, non siamo in grado di affermare una chiara ripartizione della distribuzione geografica dei determinanti psichiatrici e di quelli sociali, ma ragioni ideologiche e culturali, tutte ancora da approfondire, mostrano la tendenza dei paesi ad alto reddito a porre enfasi maggiore sui determinanti psichiatrici piuttosto che su quelli sociali.   È probabile che il fortissimo divario nella presenza di operatori sanitari della salute mentale nei paesi ricchi rispetto ai paesi poveri possa in parte spiegare questa differenza di prospettiva. Infatti, il numero di operatori della salute mentale varia in modo impressionante da un contesto geografico ad un altro: contro i 50 operatori della salute mentale (mediana) per 100.000 abitanti in Europa ve ne sono 0,9 per 100.000 in Africa e 2,5 per 100.000 nel Sud Est Asiatico[15].

C’è da chiedersi allora se la presenza/assenza di una disciplina medica, la psichiatria, non giochi un ruolo decisivo nel determinare l’attenzione verso uno specifico gruppo di fattori di rischio rispetto a un altro. Dunque, l’elevato numero di operatori psichiatrici nel continente europeo potrebbe porre in secondo piano l’importanza dei fattori di rischio socioeconomici nella determinazione del suicidio. Tale scarsa attenzione ai determinanti sociali di suicidio nei paesi ad alto reddito potrebbe spiegare la carenza di interventi protettivi per le fasce di popolazione più a rischio di povertà o, in generale, di alta vulnerabilità sociale.

Benedetto Saraceno

Segretario Generale, Lisbon Institute of Global Mental Health

 

 

 

Bibliografia

  1. World Health Organization. WHO Global Health Estimates 2000-2019. Ginevra: WHO, 2021.
  2. Harris E.C, Barraclough B. Suicide as an outcome for mental disorders: A meta-analysis. British journal of psychiatry 1997; 170:205-28‎
  3. Li Z, Page A, Martin G, Taylor R. Attributable risk of psychiatric and socio-economic factors for suicide from individual-level, population-based studies: A systematic review. Soc Sci Med 2011; 72(4):608-16. doi: 10.1016/j.socscimed.2010.11.008.
  4. Sher L. Alcohol consumption and suicide. QJM 2006;99 (1): 57–61. doi:1093/qjmed/hci146.
  5. Darke S, Ross J. Suicide among heroin users: rates, risk factors and methods.Addiction 2002; 97 (11): 1383–94.
  6. Fleischmann A, Bertolote JM. Psychiatric diagnoses, and suicide: revisiting the evidence. Crisis 2004; 25(4): 147-55. doi: 10.1027/0227-5910.25.4.147.
  7. Wasserman D, Wasserman C. (editors). Suicidology and Suicide Prevention. A global perspective. New York: Oxford University Press, 2009.
  8. Qin P, Agerbo E, Mortensen PB. Suicide risk in relation to socioeconomic, demographic, psychiatric, and familial factors: a national register-based study of all suicides in Denmark, 1981–1997. The American Journal of Psychiatry 2003, 160 (4): 765–72. doi:1176/appi.ajp.160.4.765.
  9. Centers for Disease Control Prevention (CDC). Suicide among adults aged 35-64 years–United States, 1999-2010. In: MMWR. Morbidity and Mortality Weekly Report 2013;62 (17): 321–5.
  10. Daly M. Relative Status and Well-Being: Evidence from U.S. Suicide Deaths. Federal Reserve Bank of San Francisco, Working Paper Series 2012: 01–52. doi:24148/wp2012-16.
  11. O’Connor RC, Nock MK. The psychology of suicidal behaviour. The Lancet Psychiatry 2014; 1 (1): 73–85. doi:1016/S2215-0366(14)70222-6.
  12. Lerner G. Activist: Farmer suicides in India linked to debt, globalization.  CNN World, 2010. Archived from the original on 16 January 2013. Retrieved 13 February 2013.
  13. Law S, Liu P. Suicide in China: unique demographic patterns and relationship to depressive disorder. Current Psychiatry Reports 2008;10 (1): 80–6. doi:1007/s11920-008-0014-5.
  14. Konradsen F, Pieris R, Weerasinghe M, Hoek van der W, Eddleston M, Dawson AH: Community uptake of safe storage boxes to reduce self-poisoning from pesticides in rural Sri Lanka. BMC Public Health 2007; 7 : 13-10.1186/1471-2458-7-13.
  15. World Health Organization. Mental Health Atlas 2017. Ginevra: WHO,  2018.

fonte: saluteinternazionale.info

SOS Sanità

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