Note a margine dei suicidi nei detenuti: promuovere la salute, il benessere, diritti e la qualità della vita. di Pietro Pellegrini, Giuseppina Paulillo

Dal 1 gennaio al 15 agosto 2022 si sono registrati 52 suicidi di persone detenute. Se questo andamento venisse confermatoa fine anno si arriverebbe a 83 suicidi.  La Relazione al Parlamento 2022 del Garante Nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, apag. 46 riporta la Tabella 2.1.25 – Tasso di incidenza dei suicidi sulla presenza media della popolazionedetenuta – Serie storica anni 2012-2021[1].

Anno Presenza media popolazione detenuta Numero suicidi Tasso per 1000
2012 66.449 57 0,86
2013 65.070 42 0,65
2014 57.019 43 0,75
2015 52.966 39 0,74
2016 53.984 40 0,74
2017 56.946 50 0,88
2018 58.872 64 1,10
2019 60.610 55 0,91
2020 55.445 62 1,11
2021 53.758 59 1,10
2022 agosto 15 54.645 (1 febbraio 2022) 52 1,52 (proiezione al 31 dic. 2022)

Fonte: Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria. Elaborazione a cura del Garante nazionale – Unità organizzativa Privazione della libertà in ambito penale

La media nel decennio è di 0,88 suicidi per mille/anno. Si passa da 0,74 nel quinquennio 2012-2016 a1,02 in quello 2017-2021(+37%). Un incremento che non correla con la presenza media della popolazione detenuta: 59.097 nel periodo 2012-16 e 57.066 del 2017-21 (-3,4%).

Altri fattori debbono essere approfonditi visto tra l’altro che il rischio di suicidio è una condizione che riguarda anche chi lavora in carcere. Il tema dei disturbi mentali e delle dipendenze è in grado di spiegare solo una parte, circa la metà, dell’intero fenomeno. Per avere un paragone, nel periodo 2010-21 il dato relativo alle persone in cura presso il DSM-DP di Parma indica un tasso di suicidio di 0,47per 1000 /anno, contro lo0,08 per mille nella popolazione generale della provincia di Parma.

Occorre quindi ragionare sul carcere in quanto il suicidio è un evento sentinella di elevata gravità, molto complesso e potenzialmente indicativo di un serio malfunzionamento del sistema che necessita di conseguenti, adeguate misure correttive da parte dell’organizzazione. A questo proposito è interessante la Circolare 8 agosto 2022 –“Iniziative per un intervento continuo in materia di prevenzione delle condotte suicidarie delle persone detenute” del Capo del DAP Carlo Renoldi che richiama l’attenzione su Piano nazionale, Piani di prevenzione regionali e locali, Linee di indirizzo, sulla necessità di un intervento continuo, multiprofessionale, di ampia collaborazione interistituzionale, fino al coinvolgimento degli stessi detenuti. La logica è quella di individuare fattori di rischio che consentano di intervenire precocemente superando carenze e ritardi. Pur essendo importante procedere nella linea indicata va tenuto presente che il suicidio è l’esito di molti fattori, biologici, psicologici, sociali e culturali tra loro connessi in un intreccio inestricabile di reciproco potenziamento o innesco il che rende assai difficile la prevenzione.

Occorre quindi affiancare alla prevenzione del suicidio un insieme di interventi volti alla promozione della salute, del benessere, dei diritti e della qualità della vita a partire dai fattori più facilmente rilevabili e modificabili. Se la finalità del suicidio è porre fine ad “un insopportabile dolore mentale” che porta ad una totale perdita di speranza e a vedere nell’atto autoaggressivo estremo l’unica possibile soluzione, va tenuto conto che il passaggio dall’ideazione al gesto mortale avviene in fasi diverse, travagliate e in parte reversibili. Le fonti principali di dolore mentale sono la vergogna, la colpa, la rabbia, la solitudine, la disperazione che hanno origine nei bisogni frustrati e negati talora in modo molto evidente: assenza di intimità, identità, dignità, sicurezza, diritti, lavoro che comportano povertà, solitudine, emarginazione/abbandono, attese disperanti, depersonalizzazione, anomia.  Tutti elementi critici in persone che possono avere una struttura di personalità fragile e progetti di vita difformi dalla cultura prevalente e altre concezioni del tempo, dello spazio, delle prospettive, della religione e della cultura.

Un approccio positivo di promozione dei diritti e della salute, a partire dalle condizioni di vita reali è fondamentale per ritrovare e alimentare la speranza, la sicurezza e dare senso all’esperienza, al proprio progetto di vita, assumendosene la responsabilità e modificando l’atteggiamento e il vissuto rispetto alla propria situazione e alle avversità. Ciò può determinare aspettative e rischi di fallimento in percorsi non lineari ma combattuti tra successi e “fallimenti”/ricadute, rotture e riavvicinamenti che occorre gestire mediante solide relazioni capaci di andare oltre la logica premio-punizione. Il caso di Donatella Hodo e la lettera del magistrato di sorveglianza Vincenzo Semeraro con tante implicazioni umane, segna anche la necessità di riflettere su come la comunità educa, cura, risponde alle violazioni, al conflitto. Questo anche nel rapporto tra carcere e comunità terapeutiche, che evidenzia il bisogno di trovare spazi terzi, di mediazione e incontro di esigenze diverse, talora conflittuali, affinché le persone, in modo creativo, possano diventare risorsa per se stesse e gli altri.

Va prevenuta tutta la sofferenza evitabile e ogni componente che opera in carcere sa cosa e come fare: dai tempi dei processi (8 mila persone sono in attesa del primo giudizio) fino al “numero chiuso” in carcere per evitare ogni sovraffollamento, nuove concezioni di spazi e tempi della pena. Riforme che richiedono la volontà politica  di perseguire l’umanizzazione della pena, la riduzione del numero dei reclusi e perché no, il superamento della necessità del carcere.

Tuttavia alcuni segnali vanno dati subito per fermare “l’epidemia” (in agosto in 15 giorni vi sono stati 8 suicidi), l’effetto imitazione e la spirale della disperazione. Di fronte all’emergenza, vanno aumentate le relazioni, le possibilità di essere collocati vicino a casa, i colloqui telefonici frequenti e quando se ne avverte la necessità, promuovere incontri, permessi,affettività e sessualità. Servono telefoni e internet, formazione, lavoro, cultura e apertura ai territori, misure alternative, certezza dei tempi della giustizia. Affrontare durante la detenzione il tema dei permessi di soggiorno, residenza, servizi sociali e sanitari di riferimento per rendere il fuori e il dopo meno angoscioso.

I malati psichiatrici o tossicodipendenti vanno seguiti da personale competente tenendo conto che la cura si può fare solo nel consenso, nella partecipazione e responsabilità e in genere nel territorio dando le misure alternative. La privazione della libertà è pericolosa, deve essere assolutamente residuale e altri devono essere gli strumenti.

Infine se nella nostra cultura il senso della colpa è in crisi questo segna il limite del tradizionale paradigma della pena intesa come espiazione/ rieducazione-riscatto in favore di una visione della misura giudiziaria come capacitazione, protagonismo responsabile e rinegoziazione del patto sociale, fino alla conciliazione e alla riparazione possibile.

[1]La Relazione al Parlamento 2022 del Garante Nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale  https://www.garantenazionaleprivatiliberta.it/gnpl/pages/it/homepage/pub_rel_par/

Pietro Pellegrini e Giuseppina Paulillo: Dipartimento Assistenziale Integrato Salute Mentale Dipendenze Patologiche Ausl di Parma

 

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