Il Servizio sanitario nazionale alla prova della pandemia. Cosa abbiamo appreso? di Gianluca Busilacchi, Federico Toth

Il Covid, oltre a sconvolgere molti aspetti della nostra vita quotidiana, ha rappresentato un formidabile stress test, un epocale banco di prova per il nostro sistema sanitario.

La gestione pandemica ha avuto l’effetto di portare il settore sanitario – solitamente ai margini del dibattito politico e ampiamente trascurato dai media – al centro della scena. Durante i mesi scorsi, tutti i riflettori sono stati puntati sul Servizio sanitario nazionale (Ssn), sul suo personale, sulla sua capacità ricettiva, sulle sue modalità operative e anche sulle sue performance.

 Questa improvvisa attenzione mediatica ha finito per svelare al «grande pubblico» molteplici tratti del nostro sistema sanitario, di cui non si aveva precedentemente piena consapevolezza. Molti osservatori esterni (coloro non che non lavorano in sanità, o che comunque non sono esperti del settore) sono rimasti sorpresi – talvolta in positivo, talvolta in negativo – dalle risposte fornite dal nostro Ssn. Ciò che agli occhi dei «non esperti» può essere parso nuovo o sorprendente, non ha sortito solitamente lo stesso effetto su coloro che il sistema sanitario lo conoscono più da vicino. Molti degli elementi di forza e di debolezza del nostro sistema sanitario erano noti già prima della pandemia: quest’ultima ha finito per confermare quanto in larga misura già si sapeva. Anche nel il Ssn si è mostrato per quello che effettivamente è. Eppure, nell’eccezionalità rappresentata dalla gestione pandemica, qualcosa di inaspettato è certamente emerso: qualche tratto che solitamente, in «tempi di pace», rimane latente e che la pandemia ha invece finito per portare in superficie.

Cosa la pandemia Covid-19 ha confermato e cosa ha fatto emergere di nuovo tra le caratteristiche principali del Ssn? Ci concentreremo, in particolare, su due dimensioni che sono state particolarmente evidenziate nell’ultimo anno e mezzo: il rapporto Stato-Regioni e la relazione tra cure ospedaliere e territoriali.

Molti dei tratti emersi paiono confermare quanto già si sapeva.

Il Ssn è un sistema altamente regionalizzato, in cui le singole componenti godono di grande autonomia, e si coordinano in modo lasco. Il governo nazionale si sforza di indirizzare il sistema e di garantire l’uniformità dei servizi in tutto il Paese, ma le leve a sua disposizione risultano parzialmente inefficaci. Il rapporto tra Stato e regioni è caratterizzato da continue frizioni e scarsa è la collaborazione tra le regioni. Le innovazioni e le soluzioni organizzative spesso rimangono circoscritte a livello locale, non vengono estese all’intero sistema.

Da alcuni anni a questa parte, si sta progressivamente radicando nei professionisti sanitari un maggiore orientamento alla prevenzione, alla medicina d’iniziativa, all’integrazione dei servizi, alla de-ospedalizzazione delle cure. Nonostante i progressi – innegabili – registrati recentemente su questi fronti, va constatato – e l’emergenza Covid lo ha fatto emergere in modo drammatico – che il nostro sistema è ancora eccessivamente incentrato sull’ospedale. Lo sbilanciamento ai danni della medicina territoriale è sia strutturale, sia culturale.

La pandemia, oltre a quelli già assodati, ha messo in evidenza anche tratti del nostro sistema sanitario (almeno in parte) inaspettati, e che non potevano essere dati per scontati. Si pensi ad esempio ai rapporti tra Stato e regioni: una volta superate le prime settimane di gestione della pandemia, essi sono parsi più cooperativi che in tempi di pace, e anche le regioni sono sembrate meno litigiose tra loro. Il personale sanitario ha dato prova di grande abnegazione, dimostrando flessibilità e creatività nel trovare soluzioni estemporanee, rimediando così alle lacune strutturali del nostro servizio pubblico. In tutte le regioni, i servizi territoriali e di sanità pubblica sono stati galvanizzati; anche dalle regioni che in passato hanno maggiormente incarnato l’approccio ospedalocentrico – vedi la Lombardia – si sono udite parole di conversione.

Come si è detto in apertura, l’emergenza Covid ha avuto l’effetto di convogliare l’attenzione pubblica sull’organizzazione e sul funzionamento del nostro sistema sanitario. Come conseguenza della maggiore copertura mediatica, anche il grande pubblico è divenuto consapevole di alcuni limiti e di alcune necessità del SSN, e si è acceso il dibattito sulle riforme da intraprendere in futuro. Sono così prepotentemente (ri)entrati nell’agenda politica alcuni problemi, quali: il sotto-finanziamento del SSN, la contrazione e l’invecchiamento del personale sanitario, la scarsa strutturazione delle cure territoriali, il ruolo spesso marginale dei servizi di prevenzione, l’incompiuta informatizzazione del settore, giusto per citarne alcuni. Sul punto bisogna essere onesti: tutti quelli appena menzionati non sono problemi nuovi, emersi col Covid; sono problematiche di vecchia data, di cui gli esperti del settore discutono da anni. Anche le risposte finora messe sul tavolo sono soluzioni organizzative già sperimentate e, in parte, già prevista dalla normativa e dai documenti di programmazione sanitaria.

Su diversi fronti (tra cui il potenziamento delle cure territoriali, la sanità digitale, l’orientamento verso una medicina d’iniziativa, l’integrazione dei servizi, nuove modalità di erogazione delle cure primarie), non si può certo dire che il nostro sistema sanitario – negli ultimi due o tre decenni – sia rimasto inerte e che non si siano registrati progressi. Ma questi ultimi sono stati lenti e faticosi, molte novità organizzative (si pensi alle Case della salute) sono state implementate in modo incompleto, a macchia di leopardo, con sostanziali disparità tra una regione e l’altra. Molte traiettorie di riforma hanno fatalmente incontrato resistenze, di varia natura.

L’auspicio è che la drammatica esperienza del Covid funga da catalizzatore e da acceleratore dei processi di cambiamento già in atto, dando nuovo impulso politico e – aspetto non secondario – portando ulteriori risorse, così da superare le resistenze incontrate fino ad ora. Nell’articolo sono anche affrontate alcune riflessioni sulle più generali modalità di coordinamento del sistema, tipiche dei sistemi a «legame debole». L’analisi del sistema sanitario in chiave di «loose coupling» pare infatti essere particolarmente rilevante per comprendere non solo le tipiche modalità di funzionamento del sistema, ma anche per ragionare sulle dinamiche di apprendimento collettivo. Bisogna infatti fare tesoro dell’esperienza maturata negli ultimi mesi, traendone gli insegnamenti giusti: perché la prossima crisi sarà diversa da quella appena vissuta e necessiterà di un sistema sanitario reattivo e flessibile.

Gli Autori: Gianluca Busilacchi è professore associato di Sociologia economica presso il Dipartimento di Economia e diritto dell’Università di Macerata. Federico Toth è professore ordinario di Scienza politica presso l’Università di Bologna. la Rivista delle Politiche Sociali / Italian Journal of Social Policy, 2/2021 RPS fronteggiare l’emergenza pandemica

L’articolo su RPS (pdf)

Fonte: RPS La Rivista delle Politiche Sociali

Il testo è la sintesi dell’articolo pubblicato nella sezione Tema del n. 2 2021 di Rps e scaricabile dagli abbonati nella versione integrale al link: https://www.futura-editrice.it/wp-content/uploads/2021/12/RPS-2021-2_webTEMA_Gianluca-Busilacchi-e-Federico-Toth.pdf  

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