Trieste, il concorso che tradisce Basaglia. di Maria Grazia Giannichedda

Il contestato concorso, che si è svolto nei giorni scorsi a Trieste, per la direzione di uno dei centri di salute mentale della città, ha messo in scena una convergenza su cui è necessario riflettere fra la destra leghista, oggi al governo nel Friuli-Venezia Giulia, e quei settori della psichiatria italiana da sempre alieni alla riforma e promotori, negli ultimi vent’anni in particolare, di servizi psichiatrici che la stravolgono. Questa psichiatria si era limitata finora alla difesa di trincee tradizionalmente sue (gran parte delle cliniche universitarie) e alla conquista silenziosa di territori privi di ogni politica di salute pubblica. Il concorso di Trieste sembra invece rappresentare una linea nuova, quella dello scontro dal forte valore simbolico con un modello di servizi, quello nato a Trieste e ormai diffuso in tutta la regione, che viene indicato, in una guida dell’Organizzazione mondiale della sanità appena uscita, come esempio di valenza mondiale di rete integrata di servizi di salute mentale per la comunità.

Questi i fatti. La valutazione delle pubblicazioni e dei curricula dei candidati assegna il primo posto a Mario Colucci, psichiatra che si è formato e lavora a Trieste. La prova orale ribalta la graduatoria, dando un punteggio altissimo a un anziano psichiatra, Pierfranco Trincas, terzultimo quanto ai titoli, direttore dal 2019 del servizio psichiatrico di diagnosi e cura (Spdc) dell’ospedale SS.Trinità di Cagliari nel quale ha lavorato negli ultimi vent’anni. Su questo servizio, il Garante nazionale dei diritti delle persone private di libertà, dopo le visite nel giugno 2019 agli Spdc della Sardegna, ha rilevato tra le altre cose: assenza di figure socio sanitarie; porta di ingresso allarmata e povertà di spazi aperti (un cortile «in condizioni di scarsa manutenzione, privo di un riparo e infestato da zanzare»); uso della contenzione (19 casi tra novembre 2018 e giugno 2019) e assenza di un registro sostituito da delle schede; irregolarità nelle procedure dei Trattamenti sanitari obbligatori (Tso), con un caso particolare nel 2018 quando «due Tso non figurano nel Registro delle ordinanze e uno di questi è di un paziente deceduto nel Spdc dopo sette giorni di contenzione e di denunciati maltrattamenti. La Procura ha aperto un’indagine nella quale il Garante si è costituito come persona offesa». Un altro morto, dunque, nello stesso servizio dove nel 2006 era deceduto Giuseppe Casu dopo sette giorni di contenzione.

Anche la presidente della commissione Emi Bondi ha attraversato di recente una vicenda analoga. Nel Spdc dell’ospedale Giovanni XXXIII di Bergamo il 13 agosto del 2019 è morta a diciannove anni Elena Casetto, bruciata mentre era legata al letto di contenzione in una stanza chiusa a chiave. Bondi è direttrice di quel Spdc, oltre che del Dipartimento di salute mentale (Dsm) e del reparto con funzioni analoghe denominato “Psichiatria2”.

Il caso ha voluto, insomma, che i commissari, che vengono sorteggiati da un elenco di aventi diritto che si rendono disponibili, e il candidato vincitore (ma si prepara un ricorso) appartengano a servizi che lavorano su modelli analoghi e antitetici a quello di Trieste, della regione e di una parte sempre più assediata dei servizi di salute mentale italiani. A Cagliari infatti, come a Bergamo e Venezia, sede dell’altro psichiatra commissario, Moreno De Rossi, il fulcro del sistema non è il centro di salute mentale con le sue articolazioni ma il ricovero ospedaliero, i servizi territoriali sono ambulatori fragili ed estranei alla comunità e alla vita degli utenti, mentre si moltiplicano gli Spdc chiamandoli con nomi diversi e così in reparti con porte chiuse e contenzione qualche volta succedono tragedie. Sia chiaro: il magistrato ha rinviato a giudizio, per la morte di Casetto, due operai del servizio antincendio, e per la morte di Casu non sono stati individuati colpevoli tra i sanitari contrariamente a quanto avvenuto per la morte di Franco Mastrogiovanni nel Spdc di Vallo della Lucania. Ma se questi operatori sono innocenti per la giustizia, restano i fatti che testimoniano di una psichiatria violenta e arcaica, che da due secoli attribuisce la propria violenza alla pericolosità del malato perché non vuole trasformare la propria cultura e soprattutto l’organizzazione.

Ma perché la Lega vuole infliggere ai propri concittadini questa psichiatria? Lo si capisce dalle parole del vice presidente della Regione e assessore alla sanità Riccardo Riccardi che il 25 febbraio 2019 parlando al Rotary di Lignano ha detto che «in Friuli solo il 3,8% della spesa sanitaria è privato, in Veneto sono al 15% e in Lombardia al 30%, e questo è un problema che deve essere affrontato». Questa è la grande pecca del modello triestino, non costa di più ma non allarga il mercato dei posti letto che fiorisce nel lombardo veneto e non solo.

fonte: Il Manifesto

Print Friendly, PDF & Email