La crisi come opportunità per stare dalla parte dei pazienti (Covid-19 cronache di resistenza n. 8)

La crisi come opportunità per stare dalla parte dei pazienti

Penso spesso alla “resilienza”, oggi molto in voga nella sua accezione psicologica. Mi è capitato di cercare l’origine etimologica di questo termine che si fa derivare dal latino resalio, iterativo di salto. Qualcuno propone un collegamento suggestivo tra il significato originario di resalio, che connotava anche il gesto di risalire sull’imbarcazione capovolta dalla forza del mare, e l’attuale utilizzo in campo psicologico; entrambi i termini indicano l’atteggiamento di andare avanti senza arrendersi nonostante le difficoltà. Svolgo il mio lavoro di psichiatra da circa trenta anni, esclusivamente nel servizio pubblico, ed ho dovuto spesso far fronte a situazioni molto complesse e critiche nella vita dei pazienti che ho seguito nel corso di questi anni.

Le storie di alcune donne mi hanno colpito particolarmente, donne giovani, talvolta adolescenti, che hanno dovuto ben presto fare i conti con la vita, una vita caratterizzata da tanta violenza e tanto dolore  al punto che mi sono chiesta se sarebbero riuscite a reggere un tale fardello. Sono storie di persone che, grazie all’aiuto degli operatori del Servizio di Salute Mentale e del Centro Diurno sono riuscite a sviluppare la “resilienza” che ha permesso loro di far fronte anche all’ennesima prova, quella  del  Covid 19.

Penso, ad esempio a Cinzia (il nome è di fantasia) una giovane donna, ha solo 20 anni.  Suo padre era  violento,  picchiava sua madre, che non è mai riuscita a ribellarsi. Quando aveva 13 anni ha denunciato il padre che  è stato allontanato dal giudice. Nonostante questo provvedimento estremo la madre lo faceva entrare in casa. Le tre figlie, tutte minori, sono state  inviate ad una casa famiglia. Successivamente Cinzia è stata spostata in un’altra casa-famiglia, separata dalle sorelle, e poi inviata in una comunità terapeutica dove è rimasta  fino alla maggiore età. A questo punto ha deciso  di tornare a Napoli per ricongiungersi con la madre. Ma quest’ultima ha manifestato  un atteggiamento fortemente espulsivo nei suoi confronti e Cinzia è nuovamente stata  affidata ad una comunità- alloggio. La sua permanenza nelle case famiglia, mentre era ancora minorenne e  prima di tornare a Napoli, non era stata facile. Aveva messo in atto tentativi autolesivi, fughe e aveva manifestato crisi di agitazione psicomotoria con conseguenti  ricoveri in Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura.  Giunta a Napoli era stata presa in carico dal  Servizio di Salute Mentale competente per territorio. La prima volta, è stata  vista da uno psichiatra che le prescrisse farmaci e pose una diagnosi di Disturbo Bipolare. Cinzia non tornò più e non prese i  farmaci prescritti. Fu nuovamente inviata, su richiesta delle assistenti sociali,  dalla  psicologa del Centro, con la quale ha intrapreso un percorso psicoterapeutico che dura da circa un anno. Nel corso di questo periodo  è andata a vivere da sola con un’altra ragazza.  Ha potuto prendere questa decisione  perché lavora in una pizzeria. Nel frattempo,  ha conseguito  la maturità e non assume farmaci. Da circa  sei mesi non presenta più oscillazioni del tono dell’umore e a rileggere i diari che scriveva qualche anno fa non si riconosce. All’inizio della terapia la sua principale richiesta era la formulazione di una diagnosi (cosa ho?) e narrava sé stessa con lo sguardo rivolto esclusivamente al passato. Attualmente pensa al futuro, è divenuta più consapevole anche nei confronti dei suoi genitori che ha perdonato nel momento in cui ne ha riconosciuto limiti e patologie. Questa piccola grande donna fino a pochi anni rubava, mentiva continuamente, mostrando appieno il suo disordine emotivo attraverso questi comportamenti. È una resistente, pure ai tempi del coronavirus. E’ sempre in contatto con il centro, ma riesce a stare a casa senza particolari problemi, le piace curare il suo ambiente di vita, legge molto, le piace scrivere, sente gli amici. Si definisce un’altra persona serena ed in armonia con sè stessa.

Cosa abbiamo fatto noi medici ed operatori ai tempi del coronavirus? Potrei rispondere in diversi modi. Abbiamo constatato i risultati del lavoro svolto in tanti anni. Il servizio di Salute Mentale è comunque aperto tutti i giorni dalle 8 alle 20.00, e di notte sono presenti in sede due infermieri per qualunque necessità. Si utilizza prevalentemente il telefono per gli interventi ordinari (colloqui, richieste di chiarimento per una terapia farmacologica che si sta assumendo etc.). I pazienti vengono al Servizio in caso di emergenza o per effettuare la terapia farmacologica che è garantita anche a domicilio. Le attività del Centro Diurno sono state sospese in base all’Ordinanza n° 16 del 13.03.2020 del Presidente della Giunta Regionale della  Campania (sospensione delle prestazioni sanitarie e assistenziali dei servizi sanitari e socio-sanitari semiresidenziali pubblici e privati), ma è garantita la presenza, presso i locali del Centro Diurno, degli operatori che lavorano con telefonate, videochiamate e, quando richiesto dai pazienti, effettuano brevi passeggiate con loro. Si stanno approntando in modalità Skype alcuni dei laboratori che venivano precedentemente svolti presso il Centro Diurno. Certo, il quadro qui delineato potrebbe quasi apparire idilliaco;  purtroppo non è così, vista la scarsità del personale e i numerosi tagli che ha subito la sanità pubblica da almeno dieci anni a questa parte, in particolar modo i servizi territoriali.

Anche nel corso di questa pandemia la Protezione Civile, nella quotidiana conferenza stampa, ha posto l’accento più sulle associazioni di volontariato che collaborano con loro, che sulla rete dei servizi di Salute Mentale e sui servizi di Psicologia Clinica presenti sul territorio. Questo atteggiamento non fa che favorire sottofinanziamento dei servizi, del resto già in atto. Tra l’altro, in una sanità aziendalizzata, impegnare un’ora al telefono con un paziente è considerato solo  uno strumento preparatorio al vero e proprio intervento ridotto, in questa visione, alla visita psichiatrica ambulatoriale e alla prescrizione farmacologica. Ai tempi del Covid 19 si sta facendo sempre più evidente la necessità di tornare ad una rete dei servizi sanitari e socio-sanitari capillare. La legge 180, con la sua minuziosa  articolazione, poteva  e può rappresentare un utile modello per riprendere il discorso di una sua attuazione, soprattutto in quelle regioni come la Campania dove non è mai decollata.

Questa pandemia sta rendendo evidenti alcune verità che fino ad oggi erano passate abbastanza inosservate all’opinione pubblica. Il grande scrittore americano David Foster Wallace scriveva che «la verità ti renderà libero. Ma solo quando avrà finito con te», ed io credo che siamo giunti veramente al nocciolo del problema. Adesso abbiamo la possibilità di cambiare rotta, possiamo trasformare la terribile crisi che stiamo attraversando in un’opportunità, quella di stare realmente dalla parte dei pazienti.

Teresa Capacchione è presidente dell’associazione “Sergio Piro”, psichiatra presso la ASL Na1

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